“C’è un’offesa, però, che Francesca non perdona al destino, un rancore da cui non esce. Ha avuto una storia con un ragazzo che è durata otto anni, quando lei ne aveva venticinque e il ragazzo ventuno; ha perso la battaglia contro i genitori, lui era normale e i suoi erano terrorizzati. Lui ora è sposato, ha una figlia adolescente e si incontrano qualche volta in sezione, è sempre rimasto un uomo debole. Ma non è questa l’offesa del destino, il destino si è scatenato con lei facendole incontrare Salvatore. La casa è ancora piena delle sue foto: siciliano per parte di padre, baffi folti, volto scavato, occhi neri. Tetraplegico per un incidente di tuffo, incazzato col mondo. Hanno deciso di convivere, compatibilmente coi turni balordi di lei; lui all’inizio solo i fine settimana, per il resto a casa della madre. «Perché non ti pigli una carrozzina a motore? recuperi il settanta per cento di autonomia…» – non voleva saperne, non voleva uscire di casa, dall’incidente non era più stato al mare, si vergognava del proprio corpo. «Io mi sono vista così fin da piccola, lui si ricordava di quando era bello.» Francesca ha tigna, non molla; hanno azzeccato un tredici al totocalcio e con la vincita si sono comprati un Mercedes («seh, tredicimila impicci» protestano Bruno e Marcello, «che, nun se sa che la madre de Boccadoro era ’a strozzina più famosa de Pietralata? se metteva in mezzo pure nei fallimenti, comprava i debiti e mandava a riscòte… mica ce crederai davero che er fijo s’è paralizzato co’ un tuffo? j’hanno sparato, j’hanno»); si spostavano con gli amici, Salvatore aveva diritto a due accompagnatori perché era grave, s’era formata una brigata di cinque o sei – Sicilia, Sardegna, Costa Azzurra; a Taormina lui le offrì una suite coi finestroni troppo alti, e per mostrarle la spiaggia dovette farla sollevare da un amico. Salvatore diceva che metà del suo cervello era rimasta incazzata, ma gli piaceva di più l’altra metà: «amore guarda dove t’ho portato»; «che guardo, se non ci arrivo?». Lui sulla spiaggia dipingeva, con la bocca e dei pennelli speciali; quadri precisissimi, quasi geometrici, maniacali; quando dipingeva si astraeva dalla realtà. Ha tracciato a matita un ritratto di lei; la sua ultima opera, perché un tumore al pancreas se l’è portato via in tre mesi. Questo è il colpo da cui Francesca non s’è più ripresa. «Salvo non se lo meritava… la sua sofferenza naturale, quella che aveva già, hanno voluto che non bastasse, gli dèi schifosi, che ne occorreva un’altra, supplementare… la nostra vita ce l’eravamo modellata, dolorosa, perché lui aveva le piaghe da decubito, dei problemi a urinare, delle infezioni continue… dolorosa, okèy, ma grande, io mettevo il mio coraggio e lui l’istruzione… vicino a lui mi sentivo una nullità, intellettualmente… non accetto che tutto questo sia stato ripagato con altro dolore, non l’accetterò mai… al lavoro mi sono messa in aspettativa, giorno e notte in ospedale con Salvo, ci siamo svenati per la stanza singola perché uno così mica lo puoi abbandonare in corsia… giorno e notte, giorno e notte… non mangiava, vomitava, era diventato giallo… e se n’è andato… il momento più bello era il momento di andare a letto, che riuscivamo a dormire abbracciati… perché di giorno c’erano sempre le carrozzine di mezzo… invece di notte, al di là di tutto quello che può accadere tra un uomo e una donna, era proprio il contatto, come quando incontri l’ombra tua e l’abbracci…»